Progetti Nexus Emilia Romagna
La Palestina è stata ammessa alle Nazioni Unite come stato osservatore non membro il 29 novembre 2012, sulla base dei confini del 1967. Peccato che questa distribuzione geografica sia stata nel corso degli ultimi 46 anni completamente negletta e scarnificata dal muro di separazione voluto da Israele e dalla costruzione delle colonie. I confini tra gli stati di Palestina ed Israele sono da ridisegnare interamente.
In Palestina l’occupazione israeliana continua ad impedire il normale svolgimento della vita quotidiana della popolazione. Le violazioni di svariate leggi internazionali da parte di Israele e l’economia coloniale controllata da Israele non permettono ai palestinesi di controllare la maggioranza dei fattori economici. In Cisgiordania sono presenti 500 checkpoint che ostacolano la libertà di movimento di persone e merci.
A questo si somma la situazione di Gaza, sotto embargo da anni, ed una situazione ambientale al limite del collasso per la mancanza di una gestione adeguata dei rifiuti solidi con implicazioni gravi sulla sulla salute pubblica. Le cause sono legate alla continua crescita della densità di popolazione, la debolezza del governo locale, la mancanza di risorse e di esperienza nella gestione dei rifiuti, in una situazione di occupazione da parte di Israele che ha sempre ignorato, se non aggravato, la situazione.
Le fonti di approvvigionamento di acqua sono sotto controllo israeliano che le usa per la propria popolazione, lasciando ai palestinesi la raccolta dell’acqua piovana e poche fonti superficiali e vietando loro lo sviluppo di nuove infrastrutture. Il consumo di acqua è di 40M3 per 2,6milioni di abitanti in Cisgiordania e Gerusalemme est. I coloni hanno libero accesso all’acqua e ne consumano in media 270 l/c/giorno. Il consumo minino per capita al giorno è per l’OMS 150 litri: i palestinesi raggiungono un consumo di 63 litri.
Il lavoro in Palestina è scarso e precario. La stragrande maggioranza della popolazione attiva dipende dall’amministrazione pubblica, ovvero dagli aiuti internazionali che sulla Palestina continuano a piovere, innescando speculazioni e drogando l’economia reale. Risultato un’inflazione è altissima che a settembre ha portato centinaia di persone a manifestare contro il caro vita, ma sopratutto contro le condizioni capestro a cui il sistema economico palestinese è tenuto dagli accordi di Parigi.
I movimenti sociali, ed in primis i sindacati democratici, rivendicano riforme nella legislazione del lavoro, in quella del welfare e dell’assistenza. La Palestina presenta un’economia totalmente neo-liberale, senza coperture e programmi pubblici di stimolo. Dalla fine del 2012 è entrato in vigore il salario minimo, prerequisito legale affinché si possa aprire la contrattazione collettiva per migliaia di lavoratore e lavoratrici, in primis le insegnanti della pre-scuola che guadagno poche centinaia di euro al mese.