Già dall’autunno del 2009 la crisi greca e persino la crisi europea potevano essere risolte, scongiurando l’enorme aumento della disoccupazione e la spirale recessiva e deflattiva degli ultimi anni.
Quando nel 2010 venne previsto il primo aiuto alla Grecia a causa del declassamento del debito sovrano (allora solo al 130%), le preoccupazioni europee sull’onda speculativa che aumentò lo spread dei paesi periferici e mise a dura prova la finanza e l’economia degli Stati Membri spinsero la Troika (FMI, BCE e Commissione europea) a imporre quelle severe misure di austerità che resero impossibili gli obiettivi di riduzione del debito greco e che, anzi, li allontanarono proprio in ragione della perdita di PIL, occupazione e redditi che hanno ingenerato. Non a caso nel 2012 fu necessario un secondo aiuto, ancora una volta condizionato ad aumenti iniqui e generalizzati delle tasse e al prosciugamento del welfare e, in generale, dello Stato greco.
Tutte le misure fiscali e le cosiddette riforme strutturali intraprese in questi anni hanno continuato a impoverire il popolo ellenico e la stessa finanza pubblica, portando il debito greco a livelli sempre più insostenibili.
Il cambio politico avvenuto in Grecia con le ultime elezioni e il confronto in sede europea e internazionale degli ultimi mesi, hanno riaperto le trattative a cominciare dall’entità degli avanzi primari – il vero cuneo delle politiche di rigore finanziario e di disastro sociale – essendo il ridimensionamento dell’austerità greca una delle condizioni per intraprendere una politica economica alternativa da parte del governo ellenico.
Malgrado il notevole stato di avanzamento della trattativa nel dettaglio sulle singole misure che compongono il potenziale piano di risanamento greco, i rappresentanti dei “creditori” insistono a voler imporre misure di forte matrice liberista, nonostante l’ormai evidente fallimento delle politiche di austerità e mercantilistiche. In particolare, il rifiuto greco con le istituzioni internazionali si fonda sostanzialmente sull’entità e le modalità delle riforme richieste in ambito fiscale, pensionistico, di privatizzazione e sulla contrattazione. I punti principali del dissenso:
• Atene accetta di elevare l’IVA (al 23%) ma non vuole cedere sulla progressività della misura, per evitare che l’aumento delle tasse su acqua, energia, beni alimentari e turismo sia iniquo e recessivo.
• Atene insiste sulla tassa una tantum del 12% sui profitti delle imprese superiori a mezzo milione di euro nel 2014, a cui si oppone fortemente il FMI per la retroattività e la natura “non permanente”. Nelle altre proposte del Governo greco erano previste anche un’imposta sui grandi patrimoni e un piano di lotta all’evasione fiscale. C’è già, invece, l’accordo sull’introduzione di una tassazione al 30% sul gioco on line.
• Atene accetta di aumentare gradualmente l’età pensionabile (67 anni oppure 62 per chi ha 40 anni di contributi), ma vuole stabilire autonomamente i termini e i temi di attuazione.
• Atene conferma di lavorare per portare a termine i bandi lanciati dal Governo Samaras per la privatizzazione dei porti di Salonicco e del Pireo e dell’aeroporto di Atene, ma non accetta di “non modificare i termini del bando”, né di “adottare misure irreversibili per la vendita degli aeroporti regionali”, né di assicurare la privatizzazione dell’ADMIE (compagnia che gestisce le infrastrutture dell’elettricità), come vorrebbero i “creditori”. Tsipras ha sempre affermato di “non svendere i gioielli nazionali”.
• Atene non accetta la clausola che chiede di non ripristinare il sistema di contrattazione collettiva, uno dei punti centrali del programma di Syriza. Anzi, nelle precedenti proposte avanzate dal Governo greco si affermava la possibilità di sostenere la contrattazione collettiva affinché le retribuzioni crescessero almeno quanto l’inflazione e in linea con la produttività (come i recenti accordi dell’IG Metall).
La CGIL condivide lo sforzo del Governo greco di proporre misure economiche che, pur in assenza di una politica economica espansiva, si caratterizzino per maggiore equità e giustizia sociale, oltre che maggiore efficienza economica e finanziaria, come la lotta all’evasione e l’introduzione di una imposizione patrimoniale progressiva, e lo sostiene anche nella difesa della contrattazione collettiva e nel rinnovamento delle relazioni
industriali come leva per la crescita e l’occupazione.
La CGIL pensa che vada assolutamente evitata una pressione analoga a quella che spinse il Governo Papandreou a evocare il referendum per ratificare il primo piano di salvataggio e poi a cambiare idea in nome di un malinteso senso di responsabilità nazionale, che portò solamente a un aggravamento della situazione economica e sociale.
La CGIL è convinta che sia necessario chiedere ai governi dell’Unione, alla Commissione e agli organismi finanziari internazionali di riaprire la trattativa. Sono ampi i margini per definire misure condivise e raggiungere gli obiettivi di consolidamento del debito sovrano greco con nuova crescita, più occupazione e maggiore equità sociale.
Anche per questo, la CGIL crede sia opportuno che venga espressa con chiarezza e decisione la posizione del Governo italiano sulla questione greca. Non è corretto, né strategico, assumere – come apparso fino ad ora – atteggiamenti opportunistici su una vicenda tanto drammatica quanto rilevante per il destino dei popoli europei.
La CGIL sostiene che il nostro Paese debba assumere una posizione di sostegno all’elaborazione di politiche economiche alternative all’austerità, a partire proprio dalla riapertura al dialogo e al confronto in sede europea sulle politiche economiche, monetarie e finanziarie utili a risolvere la crisi greca e, in generale, la crisi europea.
Le istituzioni sovranazionali devono ridare centralità alla politica e alla democrazia, rilanciando il disegno di pace, il modello sociale e il progetto di sviluppo dell’Europa.
La Cgil, per parte sua, chiederà ai sindacati europei di intraprendere tutte le iniziative possibili a livello europeo per favorire il dialogo e riavviare le trattative.