Contro ogni aspettativa degli analisti, qualcosa pare si stia muovendo, in Medio Oriente. Tutto è cominciato con l’inaspettato viaggio nell’Area del presidente Obama, che pare aver portato ad una non solo formale riconciliazione con il Premier israeliano Netanyahu, dopo le tempestose relazioni degli anni passati.
Poi, al termine di quella missione, la ripresa dei rapporti tra Israele e Turchia, con la telefonata di scuse di Netanyahu al premier turco Erdogan, mediata dallo stesso Obama. È di questi giorni la notizia di una conclusione positiva del secondo turno di negoziati tra i due paesi, con l’accordo sulle compensazioni israeliane alle famiglie delle 9 vittime dell’assalto del 2010 alla nave “Navi Marmara”, che cercava di rompere il blocco di Gaza. Si parla di un prossimo ritorno dei due ambasciatori nelle rispettive sedi.
Anche il fronte arabo appare in movimento. Una delegazione della Lega Araba, guidata dal ministro degli Esteri del Qatar Hamad bin Jassim al-Thani, che presiede il Comitato di séguito del Piano Arabo di Pace della Lega, delegazione di cui facevano parte, oltre al Segretario Generale Nabil el-Araby, i Ministri degli Esteri dell’Egitto, del Bahrain e della Giordania, insieme a rappresentanti del Libano, dell’Arabia Saudita e dell’Autorità Palestinese, si è recata a fine aprile a Washington, ove ha incontrato il Segretario di Stato John Kerry e il Vice Presidente Joe Biden.
Al termine, è stata data una dichiarazione di al-Thani, in cui si riconferma il Piano di pace arabo, avanzato per la prima volta nel marzo 2002 al Vertice di Beirut della Lega araba, che propone il riconoscimento di Israele e la normalizzazione dei rapporti con esso da parte di tutti gli Stati arabi, se Israele restituisce i territori arabi occupati nel 1967 e accetta la creazione di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme Est, nonché una soluzione “equa e concordata” (e quindi concordata anche con Israele, ndr) del problema dei rifugiati.
Nella dichiarazione di al-Thani si sottolinea altresì, per la prima volta, come il Piano arabo sia compatibile con equivalenti, mutuamente concordati e minori scambi territoriali tra israeliani e palestinesi.
Una citazione molto vicina alla dichiarazione di Obama del Maggio 2011 (all’epoca fieramente contestata da Netanyahu), in cui si faceva riferimento ai confini del ’67 come base di riferimento per il negoziato sui confini, con possibili scambi territoriali mutuamente concordati.
Il concetto di scambi territoriali, va detto, è stato presente nel negoziato israelo-palestinese fin dal 1990, quando ancora era presidente Arafat, ed è stato esplorato in profondità durante i negoziati di Taba, nel gennaio 2001.
Tuttavia è la prima volta che la Lega Araba lo fa proprio ufficialmente, offrendo una cornice araba di sostegno al tentativo di rilanciare il negoziato tra israeliani e palestinesi.
Né è senza significato la presenza del Ministro degli Esteri egiziano, che marca un impegno non scontato del nuovo regime di Morsi al fianco del tentativo negoziale.
Se l’accoglienza del Premier Netanyahu è stata fredda, la responsabile del Negoziato con i palestinesi, Tzipi Livni, ha parlato della dichiarazione come di “un importante messaggio”. “È una positiva novità che deve essere bene accolta”, ha postato su Facebook.
Terzo elemento, è la notizia data dalla Radio dell’esercito israeliano, secondo cui Netanyahu avrebbe deciso, senza comunicarlo ufficialmente, di bloccare la pubblicazione di nuovi appalti pubblici per la costruzione degli insediamenti, a cominciare da quello nell’area E1 alle porte di Gerusalemme che tante polemiche aveva sollevato in tutti questi anni. Il movimento Peace Now, in una sua dichiarazione, ha confermato come negli ultimi tempi non sarebbero state registrate nuove gare. È significativo che, circa un mese fa, il Presidente palestinese Mahmoud Abbas avesse dichiarato che per i palestinesi sarebbe stata sufficiente una sospensione di fatto degli insediamenti, anche non dichiarata. Non mancano tuttavia le notizie contraddittorie, quale l’autorizzazione di ieri alla costruzione di 300 nuove unità abitative (anche se questo non significa ovviamente che siano già in appalto).
Ancora, si deve registrare la dichiarazione congiunta tra lo stesso Kerry e il ministro degli Esteri russo, Lavrov, volta a promuovere una conferenza internazionale per risolvere la crisi siriana, ed il rinnovato attivismo cinese, che in occasione di una visita a Pechino, contemporanea ma disgiunta, di Netanyahu e del Presidente Abbas, ha pensato bene di presentare un proprio piano in quattro punti per risolvere il conflitto
Infine, vi è l’incontro “privato”di questi giorni a Roma tra la stessa Livni e Kerry, che hanno scelto di vedersi fuori da ogni occasione ufficiale per approfondire tutti gli aspetti della situazione negoziale e del suo possibile percorso, cui ha fatto seguito l’incontro con il Ministro degli Esteri giordano, Nasser Judeh. Nel frattempo, vi è stata una telefonata di Obama a Netanyahu, per discutere di Siria e di sicurezza, oltre che degli sviluppi in corso.
Il Segretario di Stato Usa è ora atteso il 21 0 il 22 maggio prossimi in Medio Oriente, ove incontrerà separatamente Netanyahu e Abbas. Forse, per quell’epoca, egli comincerà a tirare a bordo qualcuna delle reti gettate a mare in questi mesi. “Eppur si muove”, direbbe Galileo Galilei.
Questo articolo è stato pubblicato sul blog di Janiki Cingoli sull’Huffington Post.