La Rete Italiana Pace e Disarmo, a pochi giorni dalla chiusura delle indagini sul caso Regeni e unendosi alla voce della famiglia di Giulio per la verità e la giustizia, chiede al Governo l’immediato richiamo dell’Ambasciatore italiano dall’Egitto, una forte azione di pressione sulle autorità egiziane e la cancellazione degli accordi di cooperazione e vendita di armi con il regime di al-Sisi.
Di fronte ai risultati dell’indagine investigativa della Procura di Roma non è più possibile attendere dalle istituzioni egiziane risposte che non arriveranno mai, se non come tentativo di nascondere la verità con depistaggi e menzogne talmente incredibili da smascherare arroganza e convinzione di perenne impunità.
L’Italia e l’Europa debbono dimostrare la loro fermezza democratica per la tutela dei più elementari ed inalienabili diritti umani: il diritto alla vita, il diritto al giusto processo, la libertà di espressione, la condanna della tortura. L’Italia e l’Europa lo debbono a Giulio Regeni, agli oltre 1000 morti nelle carceri dal 2013 ad oggi e ai 60.000 prigionieri politici tra i quali, detenuto da 10 mesi senza processo, vi è Patrick Zaki, il giovane egiziano studente all’Università di Bologna.
A pochi giorni dalla celebrazione della Giornata internazionale dei Diritti Umani, le istituzioni democratiche debbono dimostrare che non sono stati fatti discorsi vani, ma che la difesa di quei Diritti richiede scelte precise, atti concreti, coerenza di comportamenti. Come ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, “l’intangibile dignità della persona è al di sopra di ogni forma di discriminazione e di ogni ordinamento”. Dunque, la dignità e la memoria di Giulio Regeni valgono più di qualsiasi affare, la libertà di Patrick Zaki e un giusto processo valgono di più di qualsiasi rapporto diplomatico.
In particolare la RIPD sottolinea come inaccettabili tutte le ipotesi di accordi per vendita di sistemi d’arma, che sono evidentemente contrari ai criteri della legge 185/90 sull’export di armamenti oltre che alla Posizione Comune UE e al Trattato internazionale ATT. Non è pensabile continuare a rafforzare un regime autoritario fornendogli i mezzi militari per concretizzare le proprie politiche di espansione, spesso addirittura in contrasto con la politica estera dell’Italia. Il Parlamento egiziano ha già votato la possibilità di un intervento armato in Libia e tutte le norme (nazionali ed internazionali) sul commercio di armi proibiscono all’Italia vendite armate verso Paesi coinvolti in un conflitto.
Chiediamo dunque che venga revocata l’autorizzazione già rilasciata per la vendita di due fregate militari (con un’operazione addirittura economicamente in perdita, quindi con uno spregio dei diritti nemmeno “giustificabile” dal punto di vista industriale) e che vengano accantonate tutte le ipotesi di futuri contratti militari. Sottolineiamo inoltre il pericolo di una ulteriore beffa (oltre al danno): secondo un recente articolo di stampa è infatti lo Stato italiano (tramite il Tesoro e la SACE) ad essersi accollato la garanzia sui prestiti erogati all’Egitto per completare l’acquisto delle due navi militari italiane. Una garanzia addirittura “estesa” rispetto al limite consentito e che potrebbe risultare in un esborso di denaro pubblico nel caso che il regime di al-Sisi (come fatto recentemente nei confronti della Francia, secondo diverse notizie degli ultimi mesi) non onorasse il proprio debito. Davvero vogliamo pagare di tasca nostra la vendita di armi ad uno Stato autoritario che nega diritti e libertà ai propri cittadini e non rispetta le richieste di giustizia per Giulio Regeni e Patrick Zaki?
Rilanciamo dunque la nostra iniziativa “Stop Armi Egitto” (promossa nei mesi scorsi insieme ad Amnesty International Italia) e insieme alla Campagna di pressione alle “banche armate” continuiamo a chiedere alla SACE, ad Intesa Sanpaolo e a tutti gli Istituti di credito di manifestare pubblicamente il proprio diniego a concedere prestiti e servizi finanziari per la vendita di sistemi militari all’Egitto. Continuare un sostegno di questo tipo rappresenterebbe infatti non solo un esplicito sostegno al regime repressivo di al-Sisi e alla sua politica di destabilizzazione in Libia, ma uno schiaffo alla popolazione egiziana che manca di cure sanitarie e per oltre due terzi vive in povertà.
Il silenzio e l’attesa non sono più accettabili, non sono più solo indifferenza, ma diventano perdita di credibilità e di dignità delle istituzioni stesse, segnano l’abbandono dei nostri valori fondanti e la sconfitta dello stato di diritto che protegge e tutela la sicurezza dei propri cittadini. È in gioco il senso profondo del nostro ideale di civiltà e di democrazia.
Non possiamo accettare che si scambino i diritti umani con supposti interessi nazionali, qualunque valore economico o strategico rappresentino, perché se così fosse, sarebbe come consegnare la nostra democrazia nelle mani di chi impone con la violenza, la repressione e l’impunità il proprio potere sulla propria comunità e nelle relazioni tra Stati.
La nostra storia, le nostre conquiste, la nostra cultura, il nostro impegno per la pace e per la pacifica convivenza tra popoli e nazioni, indicano cosa si deve fare senza indugio alcuno: richiamare il nostro Ambasciatore dall’Egitto, cancellare la vendita di armi, esigere verità e giustizia, portando la denuncia in sede europea ed in sede internazionale. L’Italia chieda anche conto alla Francia della onorificenza concessa pochi giorni fa al Presidente egiziano, campione di violazione dei diritti umani.
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